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domenica 11 novembre 2012

The New Yorker: Roth si ritira dalla letteratura


Il 9 novembre David Remnick scrive su "The New Yorker" della decisione di Roth di non scrivere più. Philip Roth era già comparso su "The New Yorker" poco tempo fa (e io ne parlavo QUI) con una lettera aperta a Wikipedia, adesso invece ufficializza il suo addio alla letteratura. La notizia, in realtà, Roth l'ha data in un intervista alla rivista francese Les inRocks, che intitola l'intervista Némésis sera mon dernier livre - Nemesis sarà il mio ultimo libro. E sottolineo che Nemesis è stato pubblicato nel 2010, non è in pubblicazione, quindi gli affezionati dell'autore non vedranno effettivamente più niente di nuovo.


Traduco parte dell'articolo che trovate QUI:

Roth ha raccontato a Les inRocks che quando ha compiuto 74 anni [ora ne ha 78, ndt] ha riletto i suoi autori preferiti - Dostoyevsky, Conrad, Turgenev, Hemingway. Poi, ha detto, "Una volta finito, ho deciso di rileggere tutti i miei libri partendo dall'ultimo, Nemesis. Volevo vedere se avevo perso il mio tempo scrivendo. E ho pensato che era più o meno un successo. Alla fine della sua vita, il pugile Joe Louis disse, 'Ho fatto il meglio che ho potuto fare con quello che avevo.' È esattamente quello che direi del mio lavoro: ho fatto il meglio che ho potuto fare con quello che avevo."
"In seguito, ho deciso che con i romanzi avevo chiuso," continua Roth. "Non voglio leggerne, non voglio scriverne, e non voglio neanche più parlarne. Ho dedicato la mia vita ai romanzi. Li ho studiati, li ho insegnati, li ho scritti e li ho letti. Escludendo quasi qualunque altra cosa. Ora basta!" 
Quando gli si chiede se esiste la possibilità di un altro libro, Roth ribatte, "Non credo che un nuovo libro cambierebbe quel che già ho fatto, e se scrivessi un nuovo libro sarebbe probabilmente un fallimento. Chi ha bisogno di leggere l'ennesimo libro mediocre?" 
Roth sostiene di non vedere nulla di strano nel ritirarsi dalla letteratura. "Pensate a E.M. Forster," dice. "Ha smesso di scrivere romanzi verso i 40 anni. E io, che ho scritto un libro dopo l'altro, non scrivo nulla da tre anni." 
Sembra ammettere una certa distanza dalla vita quotidiana. "Ho 78 anni, e non so più niente dell'America oggi. La vedo in TV, ma non la vivo più." 


Si delinea dagli articoli l'immagine di un uomo che ha  dedicato la vita intera alla scrittura, tralasciando la vita stessa.
E penso subito a una figura totalmente opposta, quella di Isabel Allende, che scrive sempre ispirata da quel che vive e da quel che è stato vissuto dalla sua famiglia.
Mi sono un po' intristita all'idea di uno scrittore che ha sempre vissuto da solo, tra  Manhattan e le campagne del Connecticut, passando le giornate alla scrivania, producendo romanzi come se fossero.. non so... qualcosa di meccanico.

Voi cosa ne pensate di un autore che vive solo per i libri che scrive? Workaholic o artista? 

1 commento:

  1. Credo sia da considerare sicuramente ossessionato, probabilmente workaholic.

    Secondo me può essere considerato artista solo ad un patto: deve scrivere libri che non si ispirino alla vita reale e moderna.

    Uno scrittore di libri di fantascienza, fantasy o storici potrebbe permettersi di passare il tempo a scrivere e dimenticare come sia fatto il mondo intorno a sé, rinunciare a viverlo. In fondo l'unico mondo di cui ha realmente bisogno per scrivere è quello che sta immaginando o un mondo "ormai morto".

    Uno scrittore contemporaneo, invece, per forza di cose ha necessità di essere ancorato al mondo. Uno scrittore di questo tipo che si sia ritirato dalla vita sociale per passare il suo tempo a lavorare, rischia di diventare come un tecnico informatico che non si aggiorni quotidianamente delle novità nel suo campo.

    Posso capire quindi perché Roth abbia detto di non voler più scrivere. Spero per lui che, una volta ripreso il contatto con il mondo esterno, gli possa tornare tale voglia. O, sopratutto, quella di leggere.

    Quello che realmente non riesco ad immaginare, in effetti, è una vita senza lettura.

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